I
lavori esposti sono costituiti da elaborazioni digitali di vedute
fotografiche del formato 60x90, realizzate nell’arco di tre
anni.
Si
tratta di fotografie di paesaggi naturali, spesso giardini di ville
venete, parchi pubblici londinesi, ed altro; comunque ambienti
silenziosi e solitari. Spazi magici. Su queste immagini interviene
creando un gioco di chiaroscuro organizzato entro strutture
geometriche ben definite ottenendo una spazialità difforme
rispetto all’originale.
Una
specie di griglia che pare ordinare, recludere la rappresentazione e
che invece la teatralizza, la rende mobile, aperta, ubiqua. Non
bisogna, certo, dimenticare che anche la griglia (o riquadro)
richiamano l’idea del taglio, della recisione, della fenditura.
Per
cui ogni tassello partecipa della totalità, ma è anche
autonomo, unisce ma anche separa, spezza, sfaccetta.
È
un gioco che permette a Lucato di dosare a piacimento luci ed ombre,
di inventarsi una fantomatica prospettiva, spostando ogni luminosità
verso il centro e l’alto dell’immagine o, al contrario,
di capovolgere ogni concetto di profondità (o di distanza),
facendo slittare le fonti luminose, innalzando o abbassando i punti
di vista, attuando una sorta di allontanamento o di avvicinamento al
paesaggio da riprendere. Qui vige un po’ la poetica della
traslazione continua, quasi la logica dell’ ”altrove”.
In queste foto si è costretti a cercare anche ciò che
non c’è (o che c’è in mille frammenti), a
intuire l’alternativa possibile, l’altra faccia del
mondo.
Come,
ne La vita istruzioni per l’uso di
G. Perec (rileva lo stesso artista) dentro un’immagine
perfettamente compiuta s’inscrive un segno di incompiutezza, un
trauma permanente: o meglio, come nel romanzo dello scrittore
francese, ogni foto finisce per celare un mistero o una peripezia
visiva. È un puzzle la cui soluzione “consiste nel
tentare via via tutte le soluzioni possibili”. Fino ad arrivare
ai lavori estremi (Passariano, Villa Manin 5/H e Passariano, Villa
Manin 7 del 2008), dove i tagli e i relativi sollevamenti della
superficie si fanno abissali e sconvolgono ogni forma del vedere (e
del pensare).Se nelle prime prove di questo ciclo si cercava, come in
Fontana, l’apertura verso il buio dell’infinito
(Trans-paesaggio, 19) o comunque si conseguiva una libertà
d’inventiva, ma sempre rimanendo dentro regole rigorose, ora la
manipolazione travolge ogni limite, trasformandosi letteralmente in
atto creativo, in linguaggio costruttore di nuove immagini. Non si
tratta più solo di un’azione di fenditura, ma anche di
intersecazione, di passaggio, di rovesciamento delle parti. Il sotto
interagisce con il sopra, il celato si intromette nel palese
.
Tratto
dal testo di Luigi Meneghelli ‘Quando l’immagine crea il
mondo’.
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